Il danno da nascita indesiderata e il diritto a non nascere se non sano

Nell'ambito della responsabilità medica, uno dei temi particolarmente controversi negli ultimi anni è quello del riconoscimento del danno da nascita indesiderata. Il dibattito in dottrina e giurisprudenza riguarda la configurabilità di tale tipologia di danno, dei soggetti ai quali riconoscerlo e il relativo regime probatorio.

È necessario chiarire che per danno da nascita indesiderata si intende il danno derivante dall'omessa informazione del medico circa la malformazione del feto che abbia impedito alla gestante la possibilità di abortire.

Premesso che nel nostro ordinamento non esistono danni “in re ipsa” risarcibili solamente perché si dimostri l’avvenuta lesione di un diritto, la giurisprudenza prevalente ritiene che il risarcimento del danno da nascita indesiderata non consegue automaticamente all'omessa diagnosi della patologia da parte del medico e alla conseguente mancata informazione alla gestante, ma è necessario che la donna provi che ove fosse stata informata della malformazione del feto avrebbe interrotto la gravidanza.

Parte della giurisprudenza ha, altresì, precisato che ai fini probatori è irrilevante che la gestante si sia sottoposta a controlli volti ad accertare l’esistenza di patologie nel feto, in quanto la semplice sottoposizione ad esami per conoscerne la salute non costituisce prova sull'eventuale volontà di abortire. Tale orientamento ha lo scopo di evitare che l’errore del medico nell'accertare la presenza eventuali patologie nel feto si risolva in una vicenda parassicurativa che obblighi il sanitario a risarcire il danno per la semplice omissione dell’informazione alla madre.

All'orientamento prevalente hanno aderito le Sezioni Unite nel 2015 con sentenza n. 25767, le quali hanno ribadito che spetta alla madre provare che, ove fosse stata informata dal medico sulla malformazione del feto avrebbe abortito.

Le Sezioni Unite hanno evidenziato come un aspetto particolarmente delicato è costituito dalla circostanza che la gestante deve provare un fatto psichico ovvero l’intenzione di abortire. L’ovvio problema è che di un fatto psicologico non si può fornire prova diretta, dunque la Corte ha sostenuto che l’onere probatorio può essere assolto tramite dimostrazione di altre circostanze, dalle quali si può ragionevolmente dedurre l’esistenza del fatto psichico che si intende accertare. La gestante può fornire un tale tipo di prova anche tramite presunzioni semplici, sulla base non solo di correlazioni statisticamente ricorrenti, secondo l’id quod plerumque accidit, ma anche di circostanze contingenti emergenti dai dati istruttori come le pregresse manifestazioni di pensiero sintomatiche della volontà abortiva in caso di grave malformazione del feto, le precarie condizioni psico-fisiche della donna o il ricorso ad esami medici volti a verificare le condizioni di salute del nascituro.

Per quanto concerne poi la tipologia di danno risarcibile, la giurisprudenza sostiene che dalla lesione della genitorialità cosciente derivano una serie di danni di natura patrimoniale e non patrimoniale. I primi sono costituiti dalle spese sostenute per l’assistenza al figlio malato, i secondi sono rappresentati dall'eventuale malattia della madre conseguente alla nascita indesiderata, nonché dal peggioramento delle condizioni di vita dell’intero nucleo familiare.

Riconosciuto il diritto al risarcimento del danno alla gestante per la lesione del suo diritto alla maternità consapevole, occorre chiedersi se il diritto al risarcimento spetti anche agli altri componenti del nucleo familiare. A tal proposito la giurisprudenza sostiene che il contratto tra la gestante e il medico è riconducibile al contratto con effetti protettivi in favore di terzi per cui l’inadempimento del medico è diretto non solo nei confronti della donna, ma anche nei confronti degli altri componenti della famiglia. Il contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi è un contratto di derivazione tedesca in cui a fianco dell’obbligazione principale, vi è un’obbligazione accessoria ed autonoma dalla prima con la quale il terzo, che si trovi in relazione di prossimità con la gestante, può agire direttamente verso il debitore in via contrattuale pur non avendo stipulato alcun contratto con il medesimo.

In particolare, si riconosce il diritto al risarcimento del danno in capo al padre, il quale viene leso nel suo diritto ad una paternità consapevole in quanto l’obbligo informativo è legato ad un contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo, nello specifico nei confronti dei soggetti che fanno parte del nucleo familiare. Il padre, infatti, nel momento in cui non viene a conoscenza delle gravi malformazioni fetali subisce uno stravolgimento della programmazione familiare. Occorre evidenziare che la Cassazione ha riconosciuto il risarcimento del danno non solo al padre, ma anche ai fratelli del nascituro, i quali rientrano a pieno titolo tra i soggetti protetti dal contratto intercorrente tra medico e gestante e sono destinatari di una serie di danni non patrimoniali che si sostanziano nella minor disponibilità dei genitori nei loro confronti in ragione del maggior tempo da dedicare al figlio affetto da handicap e nella diminuita possibilità di godere di un rapporto sereno con i genitori.

Ribadita la legittimazione attiva al risarcimento del danno oltre che alla madre, anche ai componenti del nucleo familiare, ci si chiede se possa essere riconosciuto un diritto al risarcimento in capo al soggetto nato con malformazioni. In particolare, ci si chiede se sussista il diritto a non nascere se non sano ovvero il diritto a non nascere ove il nascituro sia affetto da gravi malformazioni che possano compromettere la qualità della vita dopo la nascita.

Il sopra citato diritto a non nascere va preliminarmente distinto dal diritto a nascere sano che costituisce una variabile del diritto alla salute sancito dall'art. 32 della Costituzione e riconosciuto al nascituro subordinatamente all'evento nascita.

Il diritto a non nascere se non sano, invece, non è riconosciuto in capo al concepito dall'opinione prevalente. Si afferma che si tratta di un diritto adespota in quanto l’art. 1 c.c. subordina l’acquisto della capacità giuridica alla nascita, inoltre ipotizzare un diritto del concepito a non nascere vorrebbe dire riconoscere un diritto con titolare in via postuma e solamente in caso di sua violazione, in difetto della quale esso risulterebbe sempre privo di titolare.

Occorre inoltre ricordare che il nostro ordinamento non consente l’aborto eugenetico e tutela il concepito con diverse disposizioni come quelle contenute nella legge 194/1978 che disciplina i casi in cui è ammessa l’interruzione della gravidanza essendo tutelato il diritto del concepito a nascere pur se con malformazioni o patologie.

Da ultimo è necessario evidenziare che nella fattispecie in esame non sarebbe neppure configurabile un danno giacchè esso rappresenta un peggioramento delle condizioni di un soggetto. In questa ipotesi, invece, non è configurabile alcun peggioramento in capo al soggetto in quanto l’alternativa alla nascita sarebbe la morte che è una perdita assoluta.

Per quanto concerne il diverso diritto del nato a nascere sano, la Cassazione ha avallato la tesi prevalente della sussistenza di tale diritto. I giudici hanno affermato la titolarità di un diritto al risarcimento del danno in capo al nato affetto da handicap, a seguito di una inesatta informazione medica che precluda alla madre l’esercizio del diritto ad abortire.

La Cassazione evidenzia che il concepito, prima che soggetto di diritto subordinati all'evento nascita, dovrebbe essere riguardato quale oggetto di tutela con la conseguenza che la lesione da parte del medico della libertà di autodeterminazione della madre in ordine alla scelta di interrompere la gravidanza comporta delle conseguenze dannose future nella sfera del nato. Il soggetto nato con malformazioni ha dunque il diritto di chiedere al medico il risarcimento del danno dovuto all'omessa o inesatta informazione del sanitario che abbia impedito alla madre di autodeterminarsi in ordine alla scelta di interrompere la gravidanza. È da precisare, sempre secondo la Cassazione, che il danno che il minore chiede di ristorare non si identifica con un inesistente diritto a non nascere bensì con il diritto a nascere sano in virtù del diritto alla salute. Il pregiudizio per il minore, che non si sarebbe verificato per effetto dell’errore del medico, si giustifica in ragione della propagazione intersoggettiva degli effetti diacronici dell’illecito ossia della lesione alla procreazione cosciente e responsabile di cui solo la madre è titolare. Il diritto del nato mira, quindi, al risarcimento del danno alla salute derivante dall'essere nato con handicap e non riguarda né la sola nascita né l’handicap in sé.

L’orientamento della Corte di Cassazione è stato confermato nel 2015 dalle Sezioni Unite che hanno ribadito il cosiddetto “diritto a nascere sano” del minore derivante dall'omessa o inesatta informazione del medico circa la presenza di patologie del nascituro. Il danno lamentato dal minore non è la malformazione o l’handicap in sé, ma la condizione attuale e futura di una vita handicappata. Sono violati, quindi, il diritto alla salute previsto dall'art. 32 della Costituzione; l’art. 2 Cost. in quanto è innegabile la limitazione del diritto del minore allo svolgimento della sua personalità sia come singolo che nelle formazioni sociali; l’art. 3 Cost. nella misura in cui si rende evidente la limitazione al pieno sviluppo della persona; gli artt. 29, 30 e 31 della Carta Costituzionale poiché l’arrivo del minore con handicap rende più ardua la concreta e costante attuazione dei diritti e doveri dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli previsti dal dettato costituzionale che tutela la vita familiare nel suo libero e sereno svolgimento.

In conclusione può affermarsi che nel nostro ordinamento giuridico il riconoscimento del danno da nascita indesiderata comporta il ristoro dei danni subiti non solo dalla gestante, ma in virtù del contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo, concluso tra gestante e medico, anche nei confronti degli altri componenti del nucleo familiare e tra questi anche nei confronti del nato, il quale è titolare, non del diritto a non nascere se non sano, bensì del diverso diritto a nascere sano.  

Dott. Massimo Midolo, abilitato all'esercizio della professione forense