La protezione dei minori nel web: tra responsabilità e tutela

L’evoluzione della tutela del minore ha visto trasformarsi il “cucciolo d’uomo[1] da oggetto a soggetto di diritto e come tale meritevole di protezione e autore delle proprie scelte, bisognoso di istruzione e cura. Parlare di interesse del minore significa considerarlo nel suo essere in formazione e ciò richiede l’adozione di tecniche di tutela specifiche e differenti per i vari contesti con cui il fanciullo entra in contatto.

La Suprema Corte di Cassazione definisce l’interesse del minore come “[…] un’assistenza morale e materiale nell’ambito della propria famiglia”.[2] La tutela del minore trova conferma anche nel dettato costituzionale: più precisamente nel testo dell’art. 31, comma 2, in forza del quale essa viene intesa come difesa dell’infanzia e dell’adolescenza. La Corte Costituzionale è più volte intervenuta su questo importante tema, affermando come la tutela del minore si collochi tra gli interessi costituzionalmente protetti.[3] Per comprendere se l’interesse del bambino sia o meno effettivamente rispettato anche nel mondo dell’informazione telematica occorre osservare che la sua formazione ed informazione oggi è affidata non esclusivamente ai genitori, in virtù di un “policentrismo educativo”[4], ma anche alla scuola, alle comunità, ai gruppi di cui il minore entra a far parte, e in particolare, ai media come Internet.          
L’informazione è un ulteriore spazio in cui il minore può affermare la propria personalità, le proprie attitudini, mostrarsi capace di scegliere nella rete proprio come un adulto. Tuttavia, ciò richiede strumenti di garanzia diversi da Stato a Stato che si collocano nella differente legislazione nazionale. È importante a tal proposito riuscire a fare di Internet e della rete in generale un ambiente formativo ed informativo privo di rischi per il bambino che interagisce con esso.        
L’interesse del minore e, più ampiamente, la sua tutela effettiva, sono resi difficili nel mondo dell’informazione dalla velocità con cui il mondo dei media evolve. Essi oggi sono denominati “agenzie di socializzazione” e come tali svolgono funzioni educative           .
È nella Convenzione di New York del 1989 che viene rilevata l’importanza dei media nella formazione della personalità dei più giovani stabilendo che “[…] Gli Stati […] favoriscono l’elaborazione dei principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere”.[5] Ma non basta. L’art 3 della stessa Convenzione sancisce la prevalenza dell’interesse del fanciullo nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali in tutte le decisioni emanate dall’autorità giudiziaria.  
Tale principio viene confermato in Italia dalla Suprema Corte la quale, con sentenza n. 19069 del 5 settembre 2006, conferma che “in virtù della disposizione […] contenuta nell’art 3 della Convenzione […] il diritto alla riservatezza del minore, nel bilanciamento degli opposti valori costituzionali, (diritto di cronaca e diritto alla “privacy”) deve essere considerato assolutamente preminente laddove si riscontri che non ricorra l’utilità sociale della notizia e, quindi, con l’unico limite del pubblico interesse”.
È bene precisare, per ragioni di chiarezza, che la pronuncia in questione non fa espresso riferimento ad una telematica informazione, bensì, in generale, all’informazione del minore tout court; tuttavia, tale pronuncia ha segnato la necessità di rafforzare le tecniche di protezione del minore nel mondo della comunicazione impedendo l’intrusione non regolata nella sua vita privata dei media, Internet in primo luogo. Il mondo dell’informazione e della comunicazione necessita di regole idonee a “determinare il perimetro di legalità entro cui si svolge tale importante funzione di trasmissione delle idee e delle opinioni”[6].  
Il profilo in cui si evince con maggior consistenza la salvaguardia dell’interesse del minore nella piattaforma digitale è di certo la tutela dei dati personali. Infatti parlare di informazione significa, da un lato, dover garantire la ricezione di una notizia e poterla liberamente diffondere, dall’altro, con riferimento ai minori, il diritto che essi hanno di ricevere un’informazione adeguata alla loro personalità in formazione.[7] 
Più in generale è necessario, come già spiegato, nell’ambito della comunicazione, anche telematica, un contemperamento di due interessi, entrambi costituzionalmente protetti, ma apparentemente contrapposti: il diritto all’informazione, correlato a quello di cronaca ex art. 21 Cost. e quello all’integrità psico-fisica del minore. A decidere la prevalenza di quest’ultimo sul primo è stato il Tribunale di Roma il 27 dicembre 1999[8] con riferimento alla controversia che vedeva la RAI TV contro il Garante per la radiodiffusione e la editoria in relazione ad una trasmissione in cui non era stata secretata l’identità del minore di cui si parlava.      
È molto avvertito il pericolo che interventi a protezione dei minori che si rapportano ai nuovi media, Internet in primo luogo, siano interpretati come degli atti volti a censurare, a limitare e, dunque, a ledere, le libertà di informazione garantite dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Per evitare un contrasto simile e per impedire che ciò potesse tradursi in una non tutela a favore dei bambini nell’utilizzo dei media è intervenuta la normativa comunitaria. In una comunicazione europea del 1996 al Parlamento europeo e al Consiglio si puntualizzava infatti che gli interventi normativi volti alla protezione dei bambini non devono “assumere la forma di una proibizione assoluta d’impiegare Internet per distribuire determinato materiale che è liberamente disponibile su altri mezzi di comunicazione.”[9] Di rilievo è anche la decisone 276/1999/CE del Parlamento e del Consiglio europeo “che adotta un piano pluriennale d’azione comunitario per promuovere l’uso sicuro di Internet attraverso la lotta alle informazioni di contenuto illegale e nocivo diffuse attraverso le reti globali”[10]. Al terzo considerando della decisione viene evidenziata la necessità e l’assoluta importanza della creazione di un Internet sicuro per gli utenti, in modo che i consumatori possano trarre vantaggio dalla rete e possano essere tutelati da un suo utilizzo illegale, soprattutto nell’ipotesi di reati contro l’infanzia. Il mondo in cui oggi il bambino si esprime e a cui si espone comprende dunque insidiosi media quali sono Internet, il computer e lo smartphone. È del 2012 la comunicazione della Commissione europea dal nome “European Strategy for a Better Internet for Children” in cui sono indicate quattro linee guida su cui procedere per attuare una efficace protezione dei minori dai e nei media.        
Innanzitutto risulta necessario proporre ai giovani un’alta qualità dei contenuti on-line, questo significa preoccuparsi di proteggere contenuti formativi, ed educativi per il bambini. Importante è anche un’attività di sensibilizzazione e responsabilizzazione dei giovani che navigano nella rete in modo da renderli consapevoli e critici. La terza linea da seguire è quella che conduce alla creazione di un cyberspazio sicuro per i minori. Ciò si concretizza nella adozione di impostazioni sulla privacy che siano differenziate a seconda dell’età dei giovani utenti. L’ultimo pilastro indicato dalla comunicazione europea si incentra sulla pubblicità e sugli acquisti dei bambini on-line.   [11]
Un intervento a livello comunitario, prima di arrivare ad un accordo internazionale ancora più ampio, risulta essere necessario se si vuole arrivare a dei risultati concreti nella creazione di strumenti ad hoc per il bambino in Internet. Il motivo dell’insuccesso di qualsiasi intervento di regolamentazione o anche di autoregolamentazione limitato all’ambito nazionale”[12] è che le informazioni veicolate e condivise attraverso la rete non vengono recepite solo all’interno dei confini di un singolo Stato, ma sono potenzialmente conoscibili in ogni Stato del mondo.          
Quasi superfluo sottolineare che il computer e gli smartphone sono strumentali ad Internet, in quanto permettono di accedervi più velocemente creando non pochi problemi in termini di privacy. È proprio grazie alla telefonia mobile, ovvero agli smartphone, che oggi è facile e possibile per tutti connettersi a Internet. L’utilizzo improprio dei telefoni cellulari comporta problemi rilevanti in termini di privacy. Per questo motivo in una comunicazione del 14 marzo 2003 il Garante per la protezione dei dati personali ha ribadito una regola che nel nostro ordinamento era già esistente in quanto si riferiva ai media più “vecchi” e tradizionali per cui è possibile scattare foto con il proprio cellulare ma la loro diffusione a terzi o la pubblicazione su Internet è assolutamente vietata, salvo che vi sia il consenso dell’interessato.[13]  Significativo ricordare il provvedimento del 20 Gennaio 2005 emesso dal Garante per la protezione dei dati personali in seno ad una riunione che vedeva Presidente il Prof Stefano Rodotà. Oggetto di regolamentazione erano proprio i videofonini, ovvero i cellulari dotati di telecamere di ridotte dimensioni ma in grado di veicolare immagini e suoni condivisibili anche in rete in un arco di tempo molto ridotto. Il Garante ha ritenuto opportuno intervenire al riguardo perché “ le immagini e i suoni realizzati con videocamere possono contenere dati personali relativi al chiamante, al chiamato o a terzi, che in alcuni casi possono essere anche sensibili riguardando lo stato di salute, la sfera politica, religiosa o sindacale o le abitudini sessuali.”[14]       
Insomma, quella che il minore intrattiene con Internet è una relazione che per quanto utile per la diffusione delle opinioni di tutti, per l’apprendimento di nozioni, notizie, risulta essere dannosa[15] e pregiudizievole se non opportunamente regolamentata e disciplinata. “Il Consiglio Nazionale degli utenti richiama l’attenzione sui diritti del fanciullo all’uso e nell’uso di Internet e riafferma l’esigenza che tali diritti siano da tutti rispettati […] Libertà di espressione, eguaglianza, salute, educazione e formazione, socializzazione e gioco, ascolto, dignità e riservatezza, sicurezza, sono diritti del minore che si conformano in modo specifico per l’uso e nell’uso della rete.”[16] È opportuno evidenziare come la tutela del minore on-line si articoli in due diversi profili che vedono uno il minore in qualità di vittima di reati commessi su Internet (la pedopornografia e il turismo sessuale sono gli esempi principali), e l’altro che ha al centro il minore come fruitore della notizia che circola nel web e dunque bisognoso di protezione da contenuti per lui nocivi e inadatti. [17] Tenendo dunque presente che il rispetto dei diritti del bambino deve essere garantito anche nella rete, si deve sottolineare come il computer e lo smartphone siano mezzi con i quali accedere a Internet, e, di conseguenza, anche ai social network, di cui Facebook è esempio principe. Questi sono siti che ospitano pagine personali degli utenti attraverso le quali è possibile scambiare immagini, condividere foto e video.      
La regolamentazione attuale dei social network, la maggior parte dei quali sono di creazione americana, richiama la legge federale degli Usa, il Children’s Online Privacy Protection Act la quale “prescrive che nessuna persona giuridica (tranne gli enti pubblici) può raccogliere dati relativi a minori di 13 anni.”[18]        
La normativa europea al contrario non prevede un vero e proprio limite di età per iscriversi ai social network ma esso è ricavabile dalla normativa nazionale. Ad esempio, in Italia la capacità di agire si acquista a 18 anni, in Spagna il Garante ha stabilito che è vietata la condivisione in rete dei propri dati personali a chiunque non abbia compiuto i 14 anni di età.        
Tuttavia, l’art. 8 del nuovo Regolamento europeo per la protezione dei dati personali n. 679/2016, ha stabilito “l’obbligo di non consentire l’offerta diretta di servizi della società dell’ informazione (quindi iscrizione ai social network e ai servizi di messaggistica) a soggetti minori di 16 anni”[19]. È previsto però che questo ultimo aspetto possa essere regolato a discrezione dei singoli Garanti nazionali, ma non è possibile scendere al di sotto dei 13 anni di età. Oggi il Garante italiano non si è ancora pronunciato sul tema in attesa di una decisione del legislatore nazionale circa il limite di età da stabilire in Italia per poter iscriversi e quindi accedere ai social network.
Ma tra la legge statunitense e quella europea quale prevale? Determinare la giurisdizione e quindi la normativa da applicare al caso concreto è un problema molto comune su Internet; in tal caso prevale la legislazione comunitaria, pertanto per affermare la propria presenza on-line bastano 16 anni.[20]  È opportuno chiarire che l’iscrizione a queste piattaforme virtuali non viene considerata una mera iscrizione, bensì viene equiparata alla conclusione di un contratto con cui gli utenti accordano il consenso alla raccolta e all’elaborazione dei propri dati per essere così suddivisi in gruppi omogenei sulla base di comportamenti o interessi comuni, quell’insieme di attività che in una sola parola vengono chiamate “profilazione”. Proprio grazie all’equiparazione dell’iscrizione ai social network alla conclusione di un contratto non è difficile comprendere che la prima attività sia disciplinata attraverso le stesse norme che regolano il perfezionamento dei contratti le quali richiedono un soggetto consapevole delle conseguenze del proprio consenso.        
La conclusione cui si può giungere è che nelle piattaforme digitali a cui il minore accede attraverso il computer e lo smartphone egli è il bersaglio più ambito e gli strumenti per difendere la sua presenza in rete sono quasi inesistenti o inefficaci, come si può constatare dall’attuale normativa al riguardo.[21] Il cyberspazio è un mondo, seppur parallelo, assolutamente differente da quello reale. Le differenze che intercorrono tra questi due sistemi si evidenziano anzitutto sul piano della disciplina e della normazione. Nel web e nelle piattaforme digitali individuare il responsabile di un illecito è più complesso e la peculiarità del mondo virtuale permette la configurazione della responsabilità, in alcune ipotesi, anche a carico dell’Internet Provider per il fatto illecito compiuto dall’utente della rete. I soggetti che forniscono servizi in rete vengono chiamati ISP, vale a dire Internet Services Providers. Il provider è il prestatore di “servizi di connessione, trasmissione, memorizzazione dati, […]. […] è da considerarsi, essenzialmente, un intermediario che stabilisce un collegamento tra chi intende generare o comunque comunicare un’informazione, e i destinatari della stessa.”[22] Prima di configurare in capo al provider una responsabilità civile è condizione imprescindibile stabilire se egli si è limitato a fornire un servizio o l’accesso alla rete, o sia invece stato il fornitore della notizia, rivestendo un ruolo attivo nella commissione dell’illecito. In quest’ultimo caso è ovvio desumere una responsabilità a carico del provider poiché egli risponde per un fatto proprio, che ha causato direttamente, immettendo nella rete un determinato materiale, considerato dalla legge illecito.

Tuttavia, se in ipotesi simili configurare la responsabilità dell’ISP appare scontato, meno ovvio sarebbe contemplarla in capo al prestatore di servizi in rete qualora questo non abbia partecipato attivamente alla commissione dell’illecito. Nonostante in questi casi manchi una partecipazione diretta del provider e non sia stato lui ad immettere in rete materiale illecito, la difficoltà nell’individuare l’autore materiale dell’illecito fa si che, anche in ipotesi simili, si contempli una responsabilità a carico dell’ISP.

Pertanto il provider, è questo l’orientamento dominante, risponde civilmente sia nel caso in cui egli abbia svolto un ruolo attivo nella commissione dell’illecito, sia nel caso in cui non è possibile identificare il suo autore materiale, il quale semplicemente si serve delle infrastrutture di comunicazione messe a disposizione dall’ISP stesso. Quest’ultimo infatti è un soggetto identificabile in ogni caso, per cui attribuirgli una responsabilità significa anche garantire sotto il profilo risarcitorio ed economico il danneggiato.

La circostanza dalla quale nasce la responsabilità in capo ai prestatori di servizi in rete è quella per cui sono loro a rendere possibile l’accesso alla rete ed è questo l’elemento necessario per il compimento degli illeciti. Di fondamentale importanza in tema di responsabilità degli ISP è la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 70/2003. In esso infatti sono contenuti alcuni articoli, precisamente, dal 14 al 16, che si occupano della responsabilità in esame. Il contributo della direttiva menzionata si concretizza non in una determinazione positiva delle ipotesi in cui è ravvisabile una responsabilità del provider, ma in un’individuazione di tutte quelle attività che, per determinati motivi, sono esenti da qualsiasi tipo di responsabilità da parte dell’ISP. Le attività in cui non è paventabile una responsabilità a carico del prestatore di servizi in rete sono quelle attività, svolte da lui stesso, in cui egli è un mero intermediario di comportamenti illeciti altrui. Diversi sono invece i casi in cui l’ISP risponde in via diretta ed esclusiva, poiché, in tal caso, i criteri d’imputazione a cui far riferimento sarebbero quelli della normativa codicistica.[23] Dalla lettura degli articoli 14, 15 e 16 del decreto70/2003, si evince che l’ISP incorrerebbe in una responsabilità civile a suo carico qualora, nel caso dell’art. 14, alteri le informazioni che egli invece deve, come stabilito dalla norma, limitarsi unicamente a trasmettere. Una responsabilità in capo al provider si configurerebbe anche nell’ipotesi in cui, richiamando l’art. 15, egli non agisse con tempestività per rimuovere le informazioni memorizzate a seguito di un ordine di rimozione da parte dell’autorità giudiziaria. E ancora, sussisterebbe una responsabilità del prestatore di servizi in rete anche nel caso in cui, come stabilito dall’art. 16, nonostante egli conosca il contenuto illecito di una determinata informazione eserciti comunque l’attività di memorizzazione del contenuto trasmessogli da un destinatario del servizio (attività di hosting) o anche nel caso in cui ci siano circostanze che rendono l’illiceità dei contenuti manifesta. È possibile osservare, continuando ad analizzare le disposizioni inserite all’interno del decreto 70/2003, che pur sussistendo la responsabilità in capo al provider nel caso in cui l’illecito sia evidente, l’art. 17 dello stesso provvedimento espressamente precisa che deve escludersi un obbligo di sorveglianza a cui l’ISP deve ottemperare. “Quindi, ex art. 17 d.lgs. 70/2003, viene stabilito che il provider, nella prestazione dei servizi di cui agli artt. 14, 15 e 16, non è assoggettato a nessun obbligo di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.”[24] La giurisprudenza dominante, ascrive la responsabilità dell’ISP all’ambito della colpa professionale, delineando una responsabilità civile per danni conseguenti ad una propria azione o attività illecita. L’analisi svolta finora consente allora di affermare che sussiste una responsabilità del provider ogni volta egli viola una norma in riferimento all’attività svolta nel caso concreto; non nasce invece alcun tipo di responsabilità a carico degli ISP per le “informazioni trattate e le operazioni compiute da chi fruisce del servizio, a patto che non intervengano in alcun modo sul contenuto o sullo svolgimento delle stesse operazioni.”[25]

L’opinione oggi in dottrina prevalente è quella secondo cui il principio di irresponsabilità dell’ISP vada a favore dello sviluppo della rete: non ritenere responsabile il provider dei contenuti immessi nel web di certo non pone limiti allo sviluppo di Internet.[26] A conclusione di questa analisi circa le ipotesi in cui è possibile attribuire al provider una responsabilità civile, risulta agevole osservare come nel mondo virtuale vige un principio, quello dell’irresponsabilità dell’ISP, che mal si concilia con le esigenze di tutela nei confronti dei minori utenti della rete. Il bambino che naviga in Internet non gode di alcuna protezione qualora si imbatta in contenuti non idonei alla sua età, a meno che della illiceità di questi contenuti abbia avuto effettiva conoscenza il provider o questi non abbia obbedito ad un ordine di rimozione degli stessi disposto da un’autorità. In tutti gli altri casi, i minori si trovano di fronte ad un mondo, qual è quello virtuale, che è sempre più insidioso e sempre meno normato e regolamentato, sempre più utilizzato, ma sempre meno adatto alla totalità degli utenti.

 

Avv. Silvia Scotucci 




[1] Così viene chiamato il minore da P. VERCELLONE in La Filiazione, in Tratt. diritto civile italiano, a cura di F. Vassalli, Torino, 1987, 5. La citazione è riportata in DATTOLA F. Minori e Internet, pag. 1 Torino, Giappichelli, 2009

[2] Cass. civ. 2 aprile 2005 n. 6921 in DATTOLA F. in op. cit.

[3] TINELLO G. La tutela del minore, in Internet. Nuovi problemi e questioni controverse, a cura di G. CASSANO, 2001, pp. 423 ss.

[4] MORO, La Convenzione Onu sui diritti dei bambini oggi in Italia, in Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza, Milano 2006, pp. 129 ss., spec. 141

[5] Convenzione di New York del 1989, art. 17

[6] Lezioni 2012/2013, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali in www.scienzepolitiche.unical.it

[7] Vedi SPANGARO A. in Minori e mass media: vecchi e nuovi strumenti di tutela, p. 18, Milano, 2011

[8] Tribunale di Roma 27 dicembre 1999, n.28229, In Giurisprudenza romana, 2000, 110.

[9] Scrive così CAFARI PANICO R. in Da internet ai social network pp.57 ss., riportando le parole della Comunicazione europea del 1996, riportata in nota alla p.58 del presente libro.

[10] Decisione n.276/1999/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 gennaio 1999 riportata in Gazzetta ufficiale delle Comunità europee in www.istruzionepadova.it 

[11] MUSSELLI L. in CAFARI PANICO R. in op. cit., pp.66 ss.

[12] Dr. Lucio Stanca nell’audizione alla Commissione Parlamentare per l’Infanzia nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’abuso e lo sfruttamento dei minori in www.demetra.ch

[13] Vedi SPANGARO A. in Minori e mass media: vecchi e nuovi strumenti di tutela, 2009, pp. 118 ss.

[14] Provvedimento 20 gennaio 2005- Videofonini: cautele per un uso legittimo in www.garanteprivacy.it

[15] Il Libro Verde della Commissione europea sulla Protezione dei Minori e della Dignità umana del 1996 definisce e distingue il significato di “dannoso” in riferimento ad un determinato contenuto su un qualsiasi supporto. “Dannoso” è il contenuto lecito in sé, ma potenzialmente nocivo per certe categorie di persone, come appunto i bambini. Il concetto è stato spiegato e distinto rispetto a quello di “illecito” nel discorso tenuto dal Dr Lucio Stanca alla Commissione Parlamentare per l’infanzia in www.demetrach.it

[16] CASSANO G. in Codice dell’Internet, Giuffrè Editore, Milano, 2006, p. 976

[17] Viene evidenziata questa duplice modalità di tutela nell’audizione del Dr. Lucio Stanca in www.demetrach.it

[18]Minori e Social Network in www.protezionedatipersonali.it, 10 settembre 2017

[19] Minori e Social Network in www.protezionedatipersonali,it, 10 settembre 2017

[20] FINOCCHIARO G. in I bambini su Facebook, in www.blogstudiolegalefinocchiaro.it, 16 aprile 2017                 

[21] Vedi “Nasci, cresci e posta”, guida per difendere i bambini dai social in www.ilcentro.it, 29 dicembre 2017

[22] D’ARRIGO R. in Recenti sviluppi in tema di responsabilità degli Internet Social Providers, Giuffrè editore, Milano, p. 10

[23] In merito vedi GAMBINI M. in Le responsabilità civili dell’ISP, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006

[24]   MARUCCI B. in La responsabilità civile in rete: necessità di introdurre nuove regole in www.comparazionedirittocivile.it, p. 4

[25] SAETTA B. in La responsabilità dei provider di servizi online, in www.brunosaetta.it, 6 dicembre 2014

[26]  Vedi D’ARRIGO R. in op. cit., p. 48