L’emergenza sanitaria e le vicende contrattuali delle locazioni ad uso commerciale

L’emergenza epidemiologica ha avuto spiacevoli ripercussioni non solo sulla salute della collettività ma, come noto, anche sull’economia italiana, radicata da anni sulle piccole e medie imprese. L’Esecutivo, infatti, emanando norme funzionali a contenere la diffusione del contagio, ha determinato la sospensione di moltissime attività imprenditoriali, comportando conseguenze di natura giuridica in svariati ambiti.

Una specifica problematica che ne è derivata è stata quella che ha coinvolto i vincoli nascenti dai contratti di locazione, stipulati frequentemente nella realtà italiana non solo a scopo abitativo, ma anche per finalità squisitamente commerciali, con relativo pregiudizio per coloro che, arrestando il proprio esercizio professionale, non hanno potuto effettivamente godere del bene locato.

Per affrontare debitamente la problematica, occorre anzitutto ricordare che il contratto di locazione, di pacifica natura sinallagmatica, prevede che una parte – il  locatore – si obbliga a far godere all’altra – il conduttore – una cosa mobile o immobile per un dato periodo di tempo, verso un determinato corrispettivo.

Il contratto di locazione è un contratto a prestazioni corrispettive sicché, ove intervengano dopo la conclusione del contratto degli eventi che impediscano il godimento del bene, può esservi la liberazione del conduttore dall’obbligazione di corrispondere al locatore il canone pattuito nel contratto, poiché l’evento impeditivo rende priva di causa anche la controprestazione.

Su questo punto le disposizioni governative emergenziali hanno potuto unicamente limitarsi a disporre una generale clausola di salvezza: ai sensi dell'art. 91 del DL 18/2020 infatti "Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti".

Ciò premesso, per inquadrare sistematicamente la tematica è necessario riprendere i principi generali in punto di obbligazioni e contratti; all’uopo viene così in rilievo quale causa di estinzione del vincolo obbligatorio diversa dall’adempimento l’impossibilità sopravvenuta ad adempiere ex art 1463 c.c.

Sotto questo specifico profilo, risulta utile richiamare un orientamento giurisprudenziale, secondo cui “qualora per fatto non imputabile alle parti vi sia impossibilità, per il conduttore, di godere dell'immobile, cessa, per lo stesso, l'obbligo di pagamento del canone” (Sent. Corte Cass. n. 17844/2007).  

La medesima sentenza dei giudici di legittimità ha poi decretato che, in caso di impossibilità di godere dell’immobile locato, deve ritenersi operante la disciplina generale di estinzione del rapporto contrattuale per sopravvenuta impossibilità della prestazione non imputabile alle parti ex art 1463 ss c.c. (Sent. Corte Cass. n. 17844/2007, ma anche sent. corte Cass. n. 3440/2006).

Le pronunce testé riportate rientrano nel più ampio e fondamentale principio stabilito sempre dalla Suprema Corte, utile a dirimere molteplici controversie sorte anche in contesti differenti da quello in esame (uno su tutti, nei contratti d’albergo), essendo stato esteso l’alveo di operatività dell’impossibilità sopravvenuta anche ai casi in cui le prestazioni rimangono astrattamente eseguibili dalle parti, ma a divenire impossibile è l’utilizzazione della prestazione della controparte. Questo il principio stabilito dalla Cassazione: “[…] l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore o l’interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione” (Cass. Civ. sent. n. 18047/2018). Potendo infatti i contraenti astrattamente adempiere alle obbligazioni nascenti dal contratto di locazione – il locatore può infatti benissimo mantenere il bene locato nello stato da servire all’uso convenuto senza interferire nel godimento del bene, mentre il conduttore rimane possibilitato a versare il canone al locatore – viene per il conduttore a mancare la possibilità di usufruire della prestazione del locatore, difettando in questo modo il presupposto causale del contratto. Per tali ragioni è possibile procedere alla risoluzione del contratto con conseguente obbligo per il conduttore di restituire il bene locato.

L'orientamento giurisprudenziale appena richiamato non è altro che l’esplicazione pratica della teoria economico-individuale della causa del contratto (o teoria della causa in concreto), ormai del tutto recepita nel nostro ordinamento a partire da un’innovativa pronuncia della Cassazione del 2006 (Cass. Civ. sent. n. 10490/2006 che, definendo una vicenda inerente ad un contratto di cd. “pacchetto turistico tutto compreso”, sanciva la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta poiché i turisti, pur potendo usufruire dei servizi del villaggio vacanze, non avevano modo di visitare la città del soggiorno e di godere così appieno della vacanza in quanto, guarda caso, era scoppiata un’epidemia proprio nella zona).

La teoria in esame attribuisce dei connotati del tutto differenti alla causa del contratto rispetto all’orientamento giurisprudenziale precedente, essendo la causa contrattuale intesa ora non più come rigidamente predeterminata dal legislatore al fine di esercitare un “controllo” sui contratti tipici (teoria economico-sociale), bensì come concreto e dinamico assetto degli interessi in gioco tra le parti. Ne deriva così che, qualora determinate sopravvenienze comportino il venir meno di tale assetto di interessi, il contratto può essere risolto per impossibilità sopravvenuta essendo venuta meno la causa in concreto (si parla di impossibilità sopravvenuta e non di nullità poiché la causa nella prima ipotesi era originariamente presente ed è venuta meno solo successivamente, mentre nel caso di nullità essa è assente ab origine, costituendo un vizio genetico del contratto). Ciò premesso, è evidente come le maglie dell’impossibilità sopravvenuta ex artt. 1463 e 1256 c.c. siano state allargate ed estese anche a vicende in cui le prestazioni determinate in contratto rimangano astrattamente eseguibili: si è quindi verificata un’interpretazione analogica dell’art. 1463 c.c.

La Cassazione è giunta così a dire che la sopravvenienza che incide sull’interesse creditorio e, quindi, sulla causa concreta del contratto, può essere invero determinata anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, impossibilità dettata dalla carenza di interesse.

L’interesse cui tende la prestazione pattuita (art. 1174 c.c.) è quindi elevato ad elemento funzionale del rapporto obbligatorio ed ha carattere costitutivo (non rilevano i meri interessi individuali ma l’interesse tipico della prestazione oggetto del vincolo obbligatorio).

Quelli che seguono sono alcuni principi di diritto elaborati dal Giudice nomofilattico a seguito del recepimento della teoria della causa in concreto, utili a comprendere appieno la portata dell’overruling giurisprudenziale apportato dal 2006:

-         la causa, “ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto”, non può essere che “funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico – sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vali tipi contrattuali, si volga al fine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale” (così, espressamente, Cass. 08/05/2006, n.10490, ripresa – tra le altre – da Cass. 12/11/2009, n. 23941); anche Cass. Sezioni Unite n. 4224 del 17/02/2017 riprende tale principio.

-         “la causa in concreto – intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato – conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economica del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola, siano comunque conoscibili dall’altra” (Cass. 8100/2013; Cass. 12069/17).

-          “In tema di risoluzione del contratto, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile qualora siano divenuti impossibili l'adempimento della prestazione da parte del debitore o l'utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell'obbligazione” (Cass. Civ. Sez. 3 - , Ordinanza n. 8766 del 29/03/2019)

Le pronunce di senso opposto – a favore cioè della precedente teoria economico-sociale della causa contrattuale – hanno subito nell’ultimo decennio una limitazione quantitativa notevole.

Alla luce di quanto premesso, è chiaro quindi come l’emergenza epidemiologica possa aver emesso il proprio verdetto in relazione al definitivo recepimento nel nostro sistema giuridico della teoria della causa in concreto, con buona pace per i fautori della teoria economico-sociale della causa contrattuale.

All’uopo, solo la giurisprudenza dell’immediato futuro potrà confermarlo.

Tuttavia, tornando alle vicende cui incorrono i contratti di locazione ai tempi del coronavirus, deve evidenziarsi come la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta non possa dirsi attuabile aprioristicamente. Il termine delle restrizioni governative e la riapertura delle attività impone infatti di valutare quando l’impossibilità di usufruire dei beni locati presenti solo natura temporanea: ai sensi dell’art, 1256, comma 2, c.c., pertanto, il debitore, finché perdura tale impossibilità, non sarà responsabile del ritardo nell'adempimento e, di conseguenza, sarà esonerato dalla corresponsione del canone di locazione per l'intero lasso temporale gravato delle restrizioni governative. Dopodiché, le obbligazioni nascenti dal contratto riprenderanno normalmente, a meno che non si intenda risolverlo in quanto “in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.

In conclusione, dunque: il conduttore di un immobile ad uso commerciale ha diritto alla risoluzione del contratto di locazione laddove, a causa dell’emergenza epidemiologica, non abbia potuto godere del bene locato, rimanendo esentato dall’obbligo di corrispondere i corrispettivi di locazione a scadere maturati nel periodo di sospensione. Ferma restando tale esenzione, il contratto non può comunque essere risolto quando l’impossibilità sia solo temporanea e, alla luce del titolo dell'obbligazione o della natura dell'oggetto (valutabili solo nel caso concreto), si deve ritenere che il debitore possa, non appena cessata l’impossibilità, rimanere obbligato a eseguire la prestazione o il creditore possa mantenere l’interesse a conseguirla. 

Dott. Mattia Cesena, praticante avvocato presso lo studio legale LBMG di Milano