Principio di offensività e reati a dolo specifico: il reato di adescamento di minore

Il principio di offensività si annovera a pieno titolo tra i capisaldi del diritto penale. Esso può definirsi come principio in virtù del quale non può darsi incriminazione penale qualora non vi sia un minimum di lesività del fatto; da qui la stretta connessione con la concezione della sanzione penale quale extrema ratio, vale a dire reazione che l’ordinamento predispone per i soli casi limite, per i quali non sarebbe sufficiente un intervento di altra natura.

Riconducendo i due precetti ad organicità, si ricava un sistema fondato sulla sanzione penale - ergo una sanzione limitativa delle libertà fondamentali - quale reazione a fatti concretamente lesivi di beni giuridici preminenti.

In questo senso il principio di offensività opera alla stregua di “limite”, poiché circoscrive l’ambito di applicazione delle fattispecie penali tanto a livello legislativo, quanto a quello pratico.

La platea dei destinatari a cui si rivolge il principio in questione si compone, difatti, sia del legislatore in sede di creazione normativa, sia del giudice e dell’interprete in sede di applicazione normativa. Ne consegue la distinzione tra offensività c.d. concreta e offensività c.d. astratta. Con la prima si allude alla formulazione di fattispecie astratte imperniate su una potenzialità lesiva concreta e deducibile ipso iure; con la seconda, invece, ci si riferisce a fattispecie costruite su condotte di per sé neutre, che possono assumere connotati lesivi in riferimento al singolo caso concreto. In quest’ultima evenienza, sarà dunque onere del giudice verificare attentamente, caso per caso, la sussistenza di una effettiva lesività del fatto, essendogli altrimenti preclusa un’eventuale contestazione penale.

Per giurisprudenza unanime, il referente codicistico del principio di offensività si rinviene all’art. 49, secondo comma c.p., ove è esclusa la punibilità del fatto quando “per la inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”.

Trattasi del c.d. reato impossibile, id est quel reato costruito come esatto inverso del tentativo di cui all’art. 56 c.p., che va esente da pena proprio perché in nuce inidoneo ad arrecare offesa.

Seguendo la sistematica codicistica, ulteriore disposizione contenente, questa volta, un esplicito riferimento al concetto di “offesa” è quella di cui all’art. 131bis c.p., articolo aggiunto dall’art. 1 del d.lg. 16/3/15, n. 28, recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’art. 1,1c., lett. m), della l.28/4/14, n. 67. Ebbene, ai sensi dell’art. 131bis c.p. “la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuta e il comportamento risulta non abituale”.

Da ultimo, a completare il novero delle funzioni assolte dall’offensività, non va sottaciuta la sua idoneità a fungere da parametro di proporzionalità in sede di quantificazione della pena ai sensi dell’art. 133 c.p. e, indirettamente, dell’art. 59 c.p.

Espressa in questi termini, si ricava una concezione di offensività in accezione oggettiva, vale a dire connessa all’azione ovvero all’evento, alias all’elemento oggettivo del reato. Ebbene, sul versante dell’elemento soggettivo una funzione analoga può, prima facie, essere attribuita al dolo nella peculiare categoria dei reati c.d. a dolo specifico.

Trattasi di reati per i quali, ai fini della loro integrazione, non è sufficiente una portata generica del dolo, bensì è richiesta la presenza di un quid pluris di intenzionalità avente ad oggetto uno specifico evento. Detto altrimenti, se per la generalità dei casi è sufficiente la mera volontà e rappresentazione dell’agere criminale, in tali evenienze ciò non basta per l’integrazione del reato, poiché ancora non sufficientemente offensivo; la rilevanza penale è allora raggiunta dal precipuo scopo che ha dato impulso alla condotta e che si intende raggiungere mediante un’azione altrimenti neutra.

Evidentemente, se la nozione di reati a dolo specifico si limitasse a quanto anzidetto, l’intera categoria sarebbe suscettibile di incompatibilità con lo stesso principio di offensività: definiti, da una parte, i reati a dolo specifico sinteticamente quali fattispecie ad elemento oggettivo neutro, che assumono rilevanza penale per il solo elemento soggettivo e, dall’altra, inteso il principio di offensività quale limite in virtù del quale in sede di costruzione ovvero applicazione normativa è imprescindibile il riferimento alla lesività potenziale o attuale, in ogni caso concreta, dell’azione o dell’eventi, se ne deduce una tendenziale discrasia.

A dirimere i dubbi di una compatibilità tra gli istituti in questione è intervenuta la dottrina (ormai seguita anche dalla giurisprudenza) evidenziando che la categoria dei reati a dolo specifico non è caratterizzata soltanto dalla finalità dell’agente, così come ictu oculi potrebbe sembrare, bensì anche da un connotato oggettivo, richiedendosi comunque - per il rispetto del principio di offensività, appunto - che gli atti posti in essere siano oggettivamente idonei a cagionare l’evento dannoso o pericoloso, avuto di mira dal soggetto.

In sintesi, la c.d. concezione oggettivistica del reato a dolo specifico, così come poc’anzi descritta, assurge a presidio della legittimità dei reati a dolo specifico, ossia del rispetto del minimo oggettivo incriminabile che viene sintetizzato all’art. 56 c.p. e che costituisce la soglia irrinunciabile per un’anticipazione di tutela.

Sancito il tentativo ex art. 56 c.p. quale minimo comune denominatore di tutte le fattispecie di reato, si pone allora la questione sul distinguo tra tentativo di reato e reato c.d. a dolo specifico, specie con riferimento a tutti quei delitti lesivi di beni giuridici preminenti che, in quanto tali, sovente vengono costruiti mediante una tecnica di anticipazione della tutela penale. Emblematici a tal proposito sono i delitti contro la libertà individuale di cui al capo III, titolo XII, libro II del codice penale e, in particolare, quelli contenuti alle sezioni I e II rubricate rispettivamente “dei delitti contro la personalità individuale” e “ dei delitti contro la libertà personale”.

In questo ambito, tipico reato di pericolo e a dolo specifico è quello di cui all’art. 609 undecies c.p., inserito dall’art. 4, comma 1, lett.z) della l. n. 172 dell’1/10/12 a chiusura del sistema imperniato sugli articoli 600 e seguenti a cui si ricollega in rapporto di sussidiarietà, così come si evince dalla clausola di riserva “se il fatto non costituisce più grave reato”.

Dalla lettera della norma si deduce il dato saliente su cui è costruita la fattispecie di reato: ad assumere rilevanza penale non è la condotta in sé considerata, vale a dire il mero adescamento, inteso come “qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione”, o meglio, ciò non è ancora sufficiente ad integrare l’offesa del bene e quindi è inidoneo a meritare sanzione penale. A tal fine occorre un quid pluris, costituito, appunto, dallo scopo, ergo dal dolo specifico “di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600bis, 600ter, 600quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’art. 600 quater1, 600 quinquies, 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies”.

Tuttavia, se la disposizione de qua anticipa la tutela dei reati ivi indicati, punendo una condotta preliminare alla commissione di questi ultimi e che assume rilevanza penale proprio per tale propedeuticità, di non agevole soluzione è l’individuazione dell’esatto confine tra la fattispecie in parola e il tentativo di uno dei reati di cui agli articoli 600 e seguenti.

La questione, come a suo tempo anticipato, è diretta conseguenza della concezione c.d. oggettivistica dei reati a dolo specifico e dell’imprescindibile nesso tra offensività necessaria e anticipazione di tutela.

Assumendo ad esempio la disposizione di cui all’art. 609 quater c.p., rubricata “atti sessuali con minorenne”, che punisce chiunque compie atti sessuali con persona minorenne, la stessa sarà integrata sotto forma di fattispecie tentata nell’evenienza in cui l’agente ponga in essere atti diretti in modo non equivoco a tangere la sfera sessuale del minore, lautamente intesa, pur senza compromettere l’autodeterminazione sessuale e la sana crescita, nonché lo sviluppo emotivo e personale del minore, quindi senza cagionare l’evento. Diversamente, sarà contestato l’adescamento di minori qualora l’offensività della condotta sia costituita precipuamente dalla sua propedeuticità all’atto sessuale, nel senso che la condotta, per quanto oggettivamente idonea ad arrecare lesione, nel caso concreto si mantenga su un piano di neutralità e sia invece il profilo soggettivo a connotarsi di concreta offensività.

In sintesi, è rimesso all’interprete un serrato scrutinio della fattispecie concreta che impone una prima valutazione circa l’elemento oggettivo, fermo restando che il dolo del delitto di cui agli articoli 56 e 609 quater c.p. è della stessa natura; se l’indagine conduce ad un esito positivo in termini di concreta offensività attuale, se pur arrestata allo stadio del tentativo, occorrerà sussumere il caso all’interno della fattispecie astratta di cui all’art. 609 quater c.p., nell’ipotesi tentata ex art. 56 c.p. Altrimenti, ove la condotta posta in essere dall’agente sia oggettivamente idonea a ledere la libertà personale del minore ma concretamente non raggiunga lo stadio del tentativo punibile, poiché ancora di per sé inoffensiva, l’indagine proseguirà prendendo ad oggetto l’elemento soggettivo e, valorizzando l’offensività dello scopo criminoso che ha dato impulso all’agere, verrà fatto rientrare nella fattispecie di cui all’art. 609 undecies c.p. tutto ciò che non rientra nel tentativo di atti sessuali. In sintesi, la portata offensiva dello scopo pacifico ex art. 609 undecies c.p. assorbe il disvalore del fatto rendendo punibili fatti che, altrimenti, non raggiungerebbero lo stadio del tentativo di atti sessuali, nonostante la loro oggettiva idoneità nonché propedeuticità e antecedenza logica-temporale alla offesa incriminata.

Ad essere precluso, in ogni caso, è il concorso fra le due norme, stante l’apparenza della loro cumulativa a sua volta sancita dalla sussidiarietà dell’art. 609 undecies c.p. rispetto all’art. 609 quater c.p. Il che costruisce ulteriore avvallo alla conclusione in virtù della quale l’offensività della fattispecie di cui all’art. 609 undecies c.p., poiché sintetizzata concretamente dal solo profilo soggettivo - id est lo scopo specifico - e, quindi, più lieve, è assorbita da quella contenuta all’art. 609 quater c.p. e materialmente ravvisata tanto sul piano oggettivo, quanto su quello soggettivo; pertanto, soltanto qualora non possa integrarsi il reato di atti sessuali con minorenne anche nella forma tentata, vi sarà lo spaio per una contestazione in termini di adescamento di minori.

In conclusione, il principio di offensività implica la necessaria e imprescindibile lesività del fatto costitutivo di reato, la quale, a propria volta, può essere oltreché materiale anche meramente potenziale. Da qui ne consegue una distinzione nell’ambito della platea di destinatari, poiché, mentre la c.d. offensività astratta sfugge al sindacato di costituzionalità soltanto qualora il deficit normativo sia compensato da un serrato scrutinio del giudice volto a ravvisare se la fattispecie concreta sia effettivamente lesiva del bene tutelato dalla norma, per il caso dell’offensività c.d. materiale, il problema è risolto a monte dal legislatore che, in sede di costruzione normativa, ha specificatamente fondato la fattispecie sulla lesività al bene giuridico.

Non osta al suddetto principio la particolare tecnica di redazione normativa dei c.d. reati a dolo specifico, per i quali è richiesta la sussistenza di una precipua volontà (e rappresentazione) alla realizzazione di un preciso evento, venendo a mancare la quale non è data l’integrazione del reato poiché l’elemento oggettivo di per sé non è in grado di raggiungere quel minimum di offensività richiesto ai fini di un’incriminazione penale, ossia che giustifica l’intervento della sanzione penale, sanzione par excellence repressiva.

La più recente dottrina, avvallata dall’unanime giurisprudenza, ha poi precisato che la compatibilità dei reati in questione con il principio di offensività è mantenuta soltanto qualora si sposi una concezione c.d. oggettivistica dei reati a dolo specifico, nel senso che la preminenza accordata all’elemento soggettivo non può in ogni caso arrivare al punto di prescindere dalla oggettiva idoneità della condotta alla realizzazione dell’evento. Da qui il sottile confine tra il tentativo di reato, costituito da combinato disposto dell’art. 56 c.p. e della disposizione di parte speciale di volta in volta in rilievo e talune fattispecie costruite con la tecnica del dolo specifico.

La questione si è posta con particolare riferimento ai rapporti tra adescamento di minori e tentativo di atti sessuali con minorenne, disciplinati rispettivamente agli articoli 609 undecies e 56, 609 quater c.p. Ebbene, come meglio precisato a tempo debito, il focus dell’indagine sul discrimen fra le due fattispecie è costituito per l’appunto dalla materiale offensività poiché, qualora la condotta, pur non realizzando l’evento dell’atto sessuale, sia già di per sé carica di disvalore e, dunque, leda la libertà personale del minore, sarà interano l’art. 609 quater c.p. nella forma del tentativo; diversamente, nell’evenienza in cui la condotta posta in essere sia per quanto potenzialmente idonea, in realtà, incapace di arrecare offesa nel caso concreto e il disvalore del fatto sia da ravvisarsi precipuamente nell’elemento soggettivo specifico, sarà integrato l’art. 609 undecies c.p.

In sintesi, le due norme si pongono in un rapporto di sussidiarietà, per cui soltanto per il caso in cui non si raggiunga la lesività sancita dall’art. 609 quater c.p., a completamento del sistema interviene l’art. 609 undecies c.p., volto a reprimere tutte quelle condotte il cui disvalore è costituito proprio dalla prodromicità alla condotta materialmente lesiva della personalità individuale, ovvero della libertà personale.

 

Dott.ssa Elena Anatrà