La responsabilità da contatto sociale qualificato

Il contatto sociale qualificato è concetto elaborato da dottrina e giurisprudenza al fine di classificare quella serie di rapporti non altrimenti definibili che, pur prescindendo da un negozio giuridico, presuppongono una stretta relazione interpersonale. Valorizzando siffatto legame si è sentita l’esigenza di operare un distinguo tra le plurime relazioni instancabili tra i consociati, annoverando, al fianco del rapporto contrattuale e della totale estraneità, quei contatti tra soggetti non legati da vincoli contrattuali, bensì da reciproci affidamenti.

Il contatto sociale, su questi presupposti, è dunque definibile alla stregua di un “contatto senza contratto”: una relazione giuridica priva di obblighi di prestazione ma con obblighi di protezione, che vanno oltre il generico divieto del neminem ledere assumendo un contenuto, oltreché negativo, anche positivo.

Il fondamento dell’istituto in parola si rinviene nella clausola generale della buona fede, principio ispiratore dell’intero ordinamento civile e non, a cui si riconducono numerosi istituti. Per unanime opinione, la buona fede, a sua volta, affonda le proprie radici, sul piano codicistico, nell’art. 1173 c.c., sotto la rubrica “comportamento secondo correttezza”; il che potrebbe, prima facie, apparire come paradosso, poiché la norma in questione non contiene alcun espresso riferimento alla buona fede, bensì rinvia testualmente alla regola della correttezza.

Da qui la questione circa la reale portata della nozione di correttezza e, in particolare, la sua sussumibilità in quella della buona fede.

Partendo dal presupposto che, in discrasia con un orientamento minoritario che attribuiva alla regola della correttezza contenuto prettamente negativo, consolidata giurisprudenza ha concluso nel senso di estendere la portata della regola in questione fino a ricomprendervi obblighi di facere, oltreché di astensione, sì da evitare un’inutile duplicazione della regola del neminem ledere e connotare positivamente l’obbligo di accuratezza, esattezza e giustezza imposto alle parti ex art. 1175 c.c.

Stante il contenuto positivo della correttezza, allora, può, a pieno titolo, ad essa assimilarsi la buona fede di cui la prima altro non è che una delle plurime manifestazioni.

Con specifico riferimento alle molteplici accezioni della buona fede oggettiva, si annoverano una qualificazione in termini di regola di validità, di comportamento, nonché di integrazione, con effetti che investono ogni fase del contratto e non solo. Del resto, la buona fede affonda le proprie radici nel principio, oggi di rango costituzionale, di cui all’art. 2 Cost. per cui può, in termini generali definirsi, quale regola di proporzionalità, correttezza, cura dell’interesse altrui, id est, per l’appunto, solidarietà.

Su queste premesse è allora possibile riempire di contenuto il plesso di obblighi e doveri scaturenti dal contatto sociale qualificato, riconducendovi tanto gli obblighi di protezione, quanto quelli di tutela dell’affidamento altrui, nonché, più in generale, quelli volti a far sì che l’altra parte del rapporto consegui l migliore soddisfazione del proprio interesse con l’unico limite del non nuocersi.

Al di là della funzione pratica rivestita dagli obblighi in parola, ulteriore conseguenza della presenza di una relazione “qualificata” investe il tema della responsabilità. In sintesi, dalla qualificazione del contatto, ergo dalla individuazione di un quid pluris rispetto alla mera attualità del rapporto sociale, consegue, per consolidato orientamento giurisprudenziale, l’assimilazione del rapporto a quello contrattuale per quanto attiene alla disciplina della responsabilità. Da qui l’applicazione di una responsabilità ex art. 1218 c.c., in luogo di quella di cui all’art. 2043 c.c. per i casi di inadempimento delle prestazioni scaturenti dall’obbligo di buona fede, così come poc’anzi descritta.

La conclusione non assume soltanto preminenza teorica, bensì si riverbera anche sul piano pratico in termini di durata della prescrizione, onere della prova e danno risarcibile.

Esemplificativamente, si richiamano a tal proposito gli approdi giurisprudenziali in tema di responsabilità precontrattuale, di responsabilità del personale scolastico per i danni cagionati dagli alunni durante il tempo in cui essi erano sottoposti a controllo e vigilanza della struttura scolastica e di responsabilità dell’istituto di credito con il cliente.

Quanto alla responsabilità precontrattuale, con essa si intende la responsabilità delle parti nel corso delle trattative, vale a dire in quell’intervallo di tempo in cui, nella progressività della formazione del contratto, le parti non sono ancora vincolate da un negozio giuridico pur essendo in ogni caso legate da una relazione qualificata che impone loro obblighi di comportamento tanto positivi quanto negativi.

Valorizzando il profilo dell’assenza di un contratto vincolante, alla luce dell’autonomia privata, un primo orientamento concludeva nel senso che per tutto il tempo che precede la stipulazione del negozio le parti sono libere, sicché resta fermo il solo limite generale della convivenza pacifica, sintetizzato dal neminem ledere. Da qui la qualificazione della relativa responsabilità in termini di extra contrattualità, alias responsabilità civile (o aquiliana, ex lex Aquilia) di cui all’art. 2043 c.c. Difatti, esclusi quanti sostenevano la sussistenza di un tertium generis di responsabilità, la successiva giurisprudenza ha fermamente sancito la natura contrattuale anche della responsabilità pre-contrattuale. A sostegno di tale approdo muove la considerazione che le parti in trattative contrattuali non sono fra loro estranee ma, all’opposto, legate da reciproci obblighi di natura solidale, i quali impongono doveri di protezione dell’interesse altrui, specie sotto il profilo della tutela dell’affidamento ingenerato nelle more della conclusione di un contratto.

Risponderà dunque di responsabilità ex art. 1218 c.c. colui che recede dalla trattativa senza giustificato motivo, ovvero che sottace vizi o elementi rilevanti ai fini della negoziazione e ciò indipendentemente dall’eventuale successiva stipulazione di un contratto valido ma con condizioni inique o diverse da quanto sarebbe stato stipulato in caso di debita parità informativa.

Sul versante della responsabilità del personale scolastico per i danni cagionati dall’alunno, si assiste ad un analogo approdo giurisprudenziale favorevole ad una qualificazione in termini di responsabilità contrattuale in luogo di quella aquiliana. Vero è che l’alunno è legato da un rapporto contrattuale con l’istituto scolastico e che il rapporto tra costui e l’insegnante prescinde dai vincoli scaturenti dal suddetto contratto, ciò nonostante non passa inosservata la stretta relazione che si viene ad instaurare tra i soggetti in questione, sicché il contratto, da generico, giunge a connotarsi di un quid pluris a sua volta costituito dall’impegno reciproco a preservare e tutelare l’interesse altrui, con conseguenti obblighi di cura e protezione, specie in capo all’insegnante.

Ebbene, su questa premessa non può che concludersi nel senso di una qualificazione della relativa responsabilità alla stregua di quella di cui all’art. 1218 c.c. cui si perviene con lo stesso percorso logico e argomentativi sviluppato in sede di responsabilità pre contrattuale.

Per completezza espositiva, si rammenta che, qualora il danno arrecato all’alunno sia rivolto a se stesso (c.d. danno auto-cagionato), si torna alla ripartizione tra responsabilità contrattuale di cui risponde l’istituto scolastico e responsabilità aquiliana, di cui risponde l’insegnante. Il che si spiega per il fatto che, in tale evenienza, il danno esula dagli obblighi di protezione gravanti sull’insegnante, poiché la buona fede posta a presidio del contatto sociale qualificato non può spingersi fino al punto di tutelare l’altra parte dall’auto lesione, indi da se stesso. A ragionar diversamente si perverrebbe ad un’eccessiva ed, in quanto tale iniqua dilatazione dei doveri di protezione reciproca con l’effetto di paralizzare l’agire sociale.

Ancora, la responsabilità contrattuale si applica anche nei rapporti istituto di credito e cliente per il caso in cui il funzionario della banca effettui un pagamento a persona diversa dal cliente, richiamandosi sul punto le stesse considerazioni precedentemente svolte.

Nell’ambito della casistica giurisprudenziale una posizione peculiare assume il tema della responsabilità sanitaria, a lungo campo di applicazione privilegio del contatto sociale qualificato con le conseguenze già ampiamente enunciate e recentemente oggetto di un intervento legislativo di tenore completamente opposto a cui tuttavia non sembra seguire un renvirement giurisprudenziale.

Nello specifico, stante l’affidamento riposto dal singolo paziente nelle cure del medico e, correlativamente gli obblighi di quest’ultimo alla cura della vita e dell’integrità fisica (beni che, tra l’altro,) ricevono tutela costituzionale all’art. 32) del paziente, per il caso di inadempimento della prestazione sanitaria, il medico rispondeva di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., in solido con la struttura sanitaria. Ciò, nonostante il rapporto contrattuale riguardasse soltanto quest’ultima e non il medico operante. A sostegno di tale conclusione miravano, ancora una volta, la buona fede e il suo corollario di obblighi e doveri. Sennonché, su questo panorama è intervenuto il legislatore con legge dell’8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli- Bianco), sconvolgendo quando sino ad allora giunto ad un approdo pacifico. In particolare, l’art. 7 della legge in parola, già dalla rubrica, indica una volontà innovativa sancendo come civile la responsabilità della struttura e dell’esercente la professione sanitaria. Al comma terzo si precisa poi che “l’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente (…)”. In altri termini, salvo il caso in cui il sanitario sia vincolato da uno specifico rapporto contrattuale con il paziente, che lo veda come parte negoziale, costui rispondere di responsabilità ex art. 2043 c.c.

Evidentemente, una tale conclusione stride con la portata del contatto sociale qualificato, andando al di là di quanto la buona fede imporrebbe.

La questione verte dunque sulla ratio della novella, poiché solvato ove quest’ultima sia precipuamente circoscritta alla materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché alla materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie e, quindi, sia intervenuta al fine di risolvere un singolo contrasto settoriale, la stessa mancherà di pretese applicative ad ampio spettro e, pertanto, nulla tangerà al ben più generico discorso sul contatto sociale qualificato. Di questo avviso sembra, appunto, essere la più recente giurisprudenza, la quale, pur prendendo atto dell’intervento normativo, non ne ha comunque ravvisato un presupposto per mutare il proprio orientamento, circoscrivendo la novella alla sola attività sanitaria e permanendo, per il resto, del proprio previgente avviso. Del resto, è anche vero che la legge Gelli - Bianco si inserisce in un contesto peculiare che, per la propria specificità, non merita estensione e tanto meno applicazione analogica.

Non solo. Non va dimentico il precipuo intento del legislatore del 2017 di liberare il sanitario da eccessive preoccupazioni, le quali potrebbero condurre ad un contro producente attività conservativa da parte dell’esercente l’ars medica. Difatti, è quest’ultima una materia ontologicamente complessa e aleatoria che impone una giusta ed equilibrata proporzione tra precauzione e audacia non determinabile a priori. Da qui la volontà di non stringere eccessivamente le maglia di una responsabilità sanitaria, ferma restando l’adozione di tutte le cautele del caso possibili, tra le quali si colloca in primis la predisposizione delle c.d. linee-guida; vale a dire, raccomandazioni non altrimenti definite e distinte dalle più generiche buone pratiche clinico-assistenziali, “elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati, nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico - scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministero della salute, da menare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale”.

In sintesi, la particolarità della materia giustifica un’applicazione settoriale della novella, la quale è intervenuta, tra l’altro, a soddisfare quelle esigenze specifiche dell’ambiente medico sanitario e, pertanto, non è suscettibile di inficiare la teoria elaborata sul contatto sociale qualificato e le sue ripercussioni in tema di responsabilità da inadempimento.

Siffatta conclusione trova avvallo nella più recente giurisprudenza intervenuta sul punto.

In conclusione, il contatto sociale qualificato, quale contatto senza contratto comporta in capo alle parti una serie di obblighi e doveri, oltreché divieti, che traggono il loro fondamento dalla buona fede oggettiva. Quest’ultima è clausola generale e principio ispiratore dell’ordinamento, tanto nel settore civile, quanto in quello penale e amministrativo.

La buona fede, a sua volta, rinviene il proprio referente codicistico all’art. 1173 c.c., ove si fa esplicito riferimento alla regola della correttezza, la quale ultima altro non è se non una particolare accezione della buona fede una volta assodata la sua valenza positiva, oltreché negativa.

Ebbene, è dunque la buona fede a “integrare” il contenuto del contatto sociale qualora esso presenti un quid pluris rispetto alla genericità dei rapporti interpersonali tra estranei. Da qui la previsione di ulteriori prestazioni in capo al solo e unico divieto del neminem ledere ma si estendono fino a ricomprendere obblighi di protezione, di cura, di tutela dell’affidamento e di salvaguardia dell’interesse altrui entro il limite del non nuocere a se stessi.

A fronte dei suddetti obblighi, muta la qualificazione della responsabilità in caso di eventuale inadempimento, poiché le summenzionate prestazioni entrano ipso iure a far parte del rapporto e la loro mancata esecuzione fa sì che la relativa responsabilità ricada nella previsione di cui all’art. 2043 c.c. In sintesi, è responsabilità contrattuale e non aquiliana quella che consegue alla violazione di una delle prestazioni scaturenti da un contatto sociale qualificato ex art. 2 Cost.

Esemplificazioni del suddetto approdo giurisprudenziale si rinvengono emblematicamente in tema di responsabilità precontrattuale, responsabilità dell’insegnante per il danno cagionato dall’alunno durante il tempo di vigilanza e custodia dell’istituto scolastico e, da ultimo, di responsabilità del funzionario di un istituto di credito nei confronti del cliente.

Ambito di applicazione par excellence della responsabilità contrattuale da contatto sociale è poi da sempre stato quello dei rapporti tra sanitario e paziente, fintantoché la materia de qua è stata investita da un intervento legislativo idoneo a stravolgere l’intero orientamento sul punto. Nello specifico, la legge Gelli - Bianco del 2017 ha espressamente scisso a responsabilità della struttura sanitaria da quella del singolo medico operante, qualificando la prima come responsabilità di tipo contrattuale ex art. 1218 c.c. e la seconda come responsabilità di tipo aquilano ex art. 2043 c.c., salvo ovviamente il caso in cui tra medico e paziente sia stato stipulato contratto. Da qui i presupposti per un possibile renvirement giurisprudenziale in tema di contatto sociale qualificato, a cui tuttavia non si è dato adito permanendo nella posizione previgente ormai consolidata.

A sostegno di ciò si è valorizzata la settorialità della novella e, quindi, la sua applicabilità circoscritta alla sola materia sanitaria. Mirano in tal senso le esigenze da cui ha tratto ispirazione l’intervento normativo in parola, nonché le finalità a cui lo stesso è teso.

Su queste premesse, può dunque concludersi nel senso che, nonostante l’intervento suindicato, rimangono per il resto ferme le considerazioni svolte in tema di contatto sociale e di responsabilità da inadempimento, con la sola eccezione della materia medico - sanitaria per cui, invece, opera l’art. 7, comma 3 della legge n. 24 del 2017.


Dott.ssa Elena Anatrà